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A Budva, città-teatro, va in scena il tramonto

Il segreto me l'hanno insegnato i Pavlović, cari amici montenegrini. Sulle spiagge di Budva ci si deve godere il mare sino al tramonto. Senza perdere neppure gli ultimi tenui bagliori di luce. E quando il sole sta per tuffarsi come un biscotto nel rosolio, quello è il momento per l'ultimo bagno. Mentre nuoti la scia luminosa ti punta, ti segue come un enorme mirino arancione. Una volta, al largo, Milica, la figlia più grande dei Pavlović, mi sfiorò delicatamente le spalle. “Guarda verso riva”, disse. Che spettacolo! Si vedevano le cime alte innevate del Lovćen, tanto vicine che pareva di respirare l’odore fresco dei pini. Solo quando rimane una tenue luce violetta i Pavlović cominciano a prepararsi. “Ma non torniamo a casa”, osserva la signora Jelena, “il festival teatrale sta per cominciare, perderemmo l'inizio degli spettacoli.”E così, in men che non si dica, ecco scomparire uno dopo l'altro i cinque componenti della famiglia nell'abitacolo dell'auto per uscirne furtivi qualche minuto più tardi lindi, profumati e vestiti di tutto punto, con giacca e cravatta e abito1ungo e paillettes per le signore.

L'assoluta mancanza di formalismi e formalità, sconcertante per un italiano del Sud, fa parte del carattere dei montenegrini che sanno essere allo stesso tempo pragmatici come gli inglesi, ma anche sentimentali e passionali come e forse più dei napoletani. Con il suo festival teatrale che dura tutto luglio e agosto, Budva rivive i fasti dell'antichità greca, le storie dei suoi uomini illustri, poeti, scrittori, commediografi come Stefan Ljubiša, Krsto Ivanović, Antun Kojović o Stefan Zanović , avventuriero e casanova delle corti settecentesche. Secondo alcuni studiosi, Budva aveva un teatro già in epoca ellenica: nel terreno dell'attuale albergo Avala sono stati trovati dischetti di terracotta simili a gettoni che, a quei tempi, servivano come biglietti d'ingresso agli spettacoli.

La tradizione teatrale è nata in maniera spontanea , la vita si svolgeva fuori all'aperto come su un enorme palcoscenico e nei luoghi inverni, lontani dalle vigne e dalla pesca, gli abitanti con il sindaco in testa mettevano in scena riti religiosi, drammi, ma anche fatti e fatterelli della vita quotidiana, precursori della commedia dell'arte. Varcato l'ingresso delle mura della cittadella e superata una stretta e affollata stradina, arriviamo nella Piazzetta dei Poeti dove un omino dall’alto di un palchetto di legno sta declamando dei versi.

“Mai come in questi tempi la poesia viene in aiuto. È un dono”, esordisce Branislava Liješević, energica direttrice del festival teatrale di Budva. Annuisco un po' impacciato, mentre questa bella e prorompente signora dai capelli ramati racconta come e perché è nato il festival : rivincita contro la distruzione e le macerie di una terribile sciagura.”Nell’ 1979 un terremoto sconvolse la solita, tranquilla, abitudinaria vita della nostra città di mare”, inizia Branislava, “Budva divenne un cumulo di macerie. E poi un grande cantiere di ricostruzione. La vita si svolgeva tra i recinti dei cantieri. L'unico luogo dove poteva nascere l'idea di una nuova città era la biblioteca civica. E lì, nell'inverno del 1986, si radunò un gruppo di gente giovane di spirito, ma anche di età”, precisa con una punta d’orgoglio tutto femminile, “intellettuali che desideravano qualcosa di più della semplice ricostruzione. Quando i lavori terminarono, la città vecchia di Budva apparve a tutti un palcoscenico, una scenografia ideale per commedie rinascimentali, opere di bel canto o tragedie antiche. Ogni tratto di mura su cui poggiava lo sguardo poteva diventare la scena d'un teatro d’ambiente. Si capisce che l'elemento predominante di tutte queste fantasie era l'amore per Budva. Forse l'amavamo troppo. La città odorava ancora di calce quando Svetozar Marović giovane ed anticonformista presidente della giunta comunale, la immaginò come una città teatro.”

“Ciò che altrove avrebbe richiesto lunghi studi preparatori e sarebbe poi risultato irrealizzabile a Budva accadde in un'atmosfera carica di energia positiva e spontaneità. Il giovane sindaco dovette trovare i fondi e creare le condizioni per realizzare quel programma in una città a cui non erano ancora state restituite l'energia elettrica, l'acqua corrente, le strade. Ma tutto, misteriosamente, accadeva. E la città intera partecipava al progetto.” “Dopo otto anni la via principale tornò ad illuminarsi. Il 1 luglio 1987 fecero il loro ingresso gli attori, i registi, i poeti, i pittori, i musicisti e al loro seguito nella città vecchia entrò un gran pubblico desideroso di visioni, forse, di sogni. In un giorno la magia del teatro fece rivivere le piazze, le strade, la fortezza, i sagrati delle chiese. Fu inaugurato anche uno studio televisivo che doveva seguire gli avvenimenti del Festival in diretta.

L'Anita Berber aprì il sipario, entusiasmò e scandalizzò il pubblico. Atmosfera e costumi s'impressero sul paesaggio di pietra della cittadella, scena ideale per il coreogramma dì Nada Kokotović. Il pubblico non parlava d'altro se non dello spettacolo, degli attori, delle difficoltà... e aspettò paziente per ben due ore l'inizio del gioco degli istrioni: Tartufo, Bloody Mary, Riccardo III, Tito Andronico e La liberazione di Skopje, La scuola delle delle donne. Tutti indimenticabili, ma più ancora l'atmosfera e le scene del Don Giovanni e dell' Otello recitati sulla sabbia minuta della spiaggia di Jalz. Così cominciò. Quando il festival si chiuse, la città vecchia si spense di nuovo e per qualche anno ancora mantenne il suo aspetto spettrale.

Tornava a vivere solo per una cinquantina di giorni ogni estate. Ma alla fine pian piano la vita vi fece ritorno con il bello e il brutto della presenza dell’uomo: verdi giardini pensili, finestre e balconi in fiore, biancheria stesa ad asciugare e durante l'estate la folla e il chiasso che accompagnano il nomadismo moderno. Il Festival è cresciuto di anno in anno ed ha conquistato sempre nuovi palcoscenici: il monastero di Praskavica, il porto di Pižana, le spiagge di Miločer, Mogren, Drobni Pijesak (letteralmente sabbia macinata) lo spazio pietroso della torre d'oriente, la piazzetta tra la chiesa di Santa Maria e della Santa Trinità. Le rappresentazioni hanno persino lasciato tracce nei nomi delle strade e delle piazze: via Kanjoš Macedonović, piazza dei Poeti, cittadella. Budva si è identificata con il suo festival , vi ha riconosciuto la propria identità culturale. La notizia dell'esistenza della 'città teatro' si è diffusa come cerchi nell’acqua. Ogni artista un cerchio e via via cerchi sempre nuovi fino all’America da dove giunse un telegramma di un gruppo di studenti con la domanda: 'É vero che da voi esiste una città teatro. Theatre city?' Certo che esiste...”.

Nicolò Carnimeo
Giornalista

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