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Arte e cultura

Mitopoiesi e storiografia

Nel Montenegro, come nella gran parte dei paesi balcanici che dopo la conquista musulmana per secoli non hanno avuto una vita culturale, eccetto la letteratura orale e una modesta attività intellettuale dei monasteri (come in Europa nell’alto Medioevo), miti e le leggende elaborati in quel periodo in forma poetica (il ciclo del Kosovo, di Marko Kraljevic, degli aiduchi e degli uscocchi) hanno avuto una grande importanza e sono tutt’oggi molto sentiti e vivi, condizionando ancora il conscio e l’inconscio collettivo.

L’epica orale, accompagnata dal suono di gusle (uno strumento musicale primitivo a corda) è stata essenziale per le popolazioni cristiane isolate dall’Europa occidentale in un impero musulmano teocratico. Anche quando questi popoli nel XIX secolo cominciano ad acquistare prima l’autonomia e poi l’indipendenza dai turchi e sotto l’influenza delle idee europee si trasformano da comunità etnico religiose (millet turco), o da tribù ( Montenegro, Albania settentrionale ed Erzegovina) in nazioni, la mitologia e la letteratura orale che vengono rielaborate in chiave romantica, continuano ad avere un importanza cruciale.

Nel momento in cui, dopo le rivolte all’inizio del XIX secolo, la Serbia ha acquistato l’autonomia, mancavano le scuole, gli intellettuali, ma anche una lingua scritta (esisteva solo l’arcaica lingua liturgica paleoslava molto diversa da quella volgare). Allora il linguista e lo storico serbo Vuk Karadzic fece una grande opera; seguendo i modelli del romanticismo tedesco e con l’aiuto di linguisti sloveni e tedeschi, a Vienna elaborò un dizionario, una grammatica e scrisse opere storiografiche e una nuova versione della letteratura orale, rispolverando così antichi miti e leggende, alle quali ne ha aggiunto di nuovi (quello della rivolta serba, anche quella decantata dai poeti epici) che diventano così essenziali per la nuova identità nazionale serba.

Infatti, Vuk Karadzic presentava come serba la letteratura orale, i miti e le leggende appartenenti a gran parte dei popoli balcanici (croati, musulmani slavi, montenegrini, albanesi, valacchi, macedoni). In questo modo eseguì un’importante operazione culturale presentando questi popoli come serbi, dando le basi culturali e linguistiche al progetto politico della Grande Serbia e al panserbismo.

Questo progetto era stato formulato nello stesso periodo (1844) dal ministro serbo Ilija Garasanin (con l’aiuto dei circoli massonici europei) chiamato “Nacertanije”, che prevedeva la costituzione di un grande stato serbo egemone nei Balcani, che doveva ricostruire l’impero medievale serbo, ma in confini che corrispondevano a quelli del Patriarcato ortodosso serbo durante l’impero ottomano, che comprendeva, oltre la Serbia, il Montenegro, la Macedonia, il Kosovo, anche la Bosnia ed Erzegovina, la Dalmazia e una parte della Croazia dove erano presenti gli ortodossi (mescolati con i cattolici e i musulmani).

Si trattava di una versione laica e politica dell’unione spirituale degli slavi ortodossi, che stavano per essere trasformati nella super nazione panserba. Le riforme linguistiche e culturali di Karadzic trovarono invece una forte opposizione nella chiesa serba, che non voleva rinunciare all’arcaica lingua liturgica paleoslava, l’unica lingua scritta tra i serbi, e che vedeva nella laicizzazione della cultura una minaccia al proprio potere e al monopolio culturale.

Fonte

Prof. Antun Sbutega

Lezioni tenute presso l'Università La Sapienza di Roma

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